La nascita dei ‘Laghi Alimini’ risale ad un’età remota, databile, secondo alcuni geologi, intorno al Mesozoico. Successivamente, poi, su questo strato, se ne accumularono altri di età successive (Miocene, Pliocene). Ulteriori trasformazioni della crosta terrestre si ebbero nel Pleistocene, le quali causarono un graduale ribassamento dell’entroterra verso il mare Adriatico. Questa serie di elementi tettonici ha determinato l’attuale aspetto dei bacini. Nel periodo quaternario, Fontanelle, fu un vero lago, indipendente da Alimini Grande, e le sue acque, al principio salate, divennero sempre più dolci per la mescolanza con le acque piovane e con quelle sorgive. Ciò creò le condizioni ideali per il prosperare della flora e della fauna lacustre.
Oltre 150.000 anni fa, in tali luoghi, faceva la sua comparsa l’uomo primitivo. Infatti, grazie a numerosi rinvenimenti, si è accertato che questa terra fu abitata dall’uomo fin dai suoi primordi. Le ricerche dei fratelli Piccinno, eseguite nel 1978, hanno fornito elementi utili circa l’insediamento preistorico, con materiale assegnabile al periodo che va dal Paleolitico Medio fino all’età del Bronzo. Le prime notizie certe sui laghi risalgono al 1219 quando, l’imperatore Federico II, con un atto ufficiale, assegnò alla Mensa Arcivescovile della città hydruntina, la terza parte di essi.
Nel Medioevo, tale zona, fu fiorentissima di paesi, villaggi, casali e di conventi basiliani, ma, l’invasione dei Turchi, nel 1480, causò l’abbandono di questa bellissima area del Salento. Infatti, i coloni, si rifugiarono nei paesi vicini, protetti da mura e da castelli fortificati. Nel 1886, in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, la terza parte dei bacini, di proprietà della Mensa Arcivescovile, passò al demanio. Anche i rimanenti due terzi, furono assorbiti dal demanio, che affidava le acque in assegnazione privata con diritto esclusivo di pesca, per un tempo massimo di 99 anni.
Nel 1800, la campagna che circondava i laghi era desolata e priva di vegetazione. Esistevano solo poche masserie, alcune delle quali erano disabitate per quasi tutto l’anno, a causa dell’aria nociva prodotta dalle paludi. In quest’area, il rischio di contrarre la malaria era molto alto in estate, quando le zone paludose si prosciugavano. I contadini più valorosi si recavano nei loro campi durante l’inverno per i lavori di aratura e di semina e vi facevano ritorno nel periodo della mietitura e della trebbiatura. La paura del contagio era sempre presente, ragion per cui cercavano di finire il lavoro nel minor tempo possibile.
In alcuni periodi dell’anno, e con scarso guadagno, la terra intorno ai bacini veniva utilizzata per far pascolare il bestiame. Nel 1936, l’endemia malarica ad Otranto e nelle zone vicine scomparve del tutto. Si posero, così, le basi dello stanziamento per appoderamento, con la derivante stabilizzazione in luogo della popolazione contadina. La trasformazione del paesaggio che ne conseguì fu netta. Inoltre, la costruzione di impianti irrigui, tra il 1954 e il 1963, permise il diffondersi di indirizzi produttivi più redditizi per i piccoli agricoltori. I percorsi esistenti vennero sistemati e se ne crearono dei nuovi.